Buongiorno a tutti!
Questo è il testo della tesina che ho portato al Corso di Storia dell'Architettura Contemporanea del prof. Nicoloso.
Nel 1927 il
governo fascista decise di affrontare in modo preciso e definitivo il
problema di dare una sepoltura adeguata agli innumerevoli caduti
della prima guerra mondiale fino a quel momento seppelliti in
cimiteri provvisori
presso i campi di battaglia. Così nominò il generale Faracovi
“commissario straordinario per le onoranze ai caduti in guerra”
che realizzò un “piano per la sistemazione delle salme dei caduti
in territorio estero e italiano”. Esso prevedeva la realizzazione
di ossari militari presso i principali fronti della Grande Guerra
in quanto era la soluzione migliore per contenere i costi e per
garantire che le architetture fossero “espressione del sentimento,
del prestigio, della Civiltà e della dignità della Nazione”.
Inoltre consentivano “l'individualità”, poiché ciascun soldato
avrebbe avuto il proprio loculo, “la perpetuità”, dato che la
costruzione avrebbe conservato i resti dei caduti e “la
Monumentalità” raggiunta dal linguaggio architettonico severo e
solenne.
Nel contempo
questi monumenti avrebbero garantito la tramandazione di una
“documentazione storica dell'immane guerra” e la “riconoscenza
dell'Italia ai suoi morti divenendo virile scuola per vivi”.
Essi perciò
dovevano avere delle caratteristiche comuni: dovevano sorgere su
delle alture e nei pressi di stazioni ferroviarie e di strade
facilmente percorribili e utilizzare un linguaggio architettonico
fatto di “linee maestose senza frastagliamenti e cincischiature”
che dovevano ispirarsi ad un linguaggio antico.
Grazie al
linguaggio utilizzato, espressione di italianità, questi luoghi
enormi avevano la funzione di educare al culto della nazione la massa
che avrebbe fatto, come dovere di bravi cittadini, dei veri e propri
pellegrinaggi per rendere omaggio alla memoria dei caduti e che
sarebbe stata spinta dal sacrificio eroico a “sempre più amare
quella Patria che Essi [i caduti] ci hanno lasciato più grande”.
Dal 1931,
conclusasi la costruzione di monumenti di iniziativa locale, lo Stato
fece entrare in vigore una legge che istituzionalizzava il suo
intervento facendo proprie le direttive del piano Faracovi. Inoltre
essa ufficializzava la carica di “commissario generale
straordinario per la sistemazione di tutti i cimiteri di guerra nel
regno e all'estero” dotata di un maggior potere decisionale e
sottoposta solo al capo del governo per il quale venne nominato Ugo
Cei nel febbraio del 1935.
Il governo
decise quindi di intervenire nell'area di Redipuglia, uno dei fronti
dove si combattè la Grande Guerra.
Si voleva
trasformare la zona dove sorgeva il cimitero, che poco si adattava
alle direttive del piano Faracovi, in un ossario. Il cimitero
originario, situato sul colle Sant'Elia, era caratterizzato da un
“particolare effetto scenografico, determinato dalla presenza di
numerosi cimeli di guerra raccolti sui campi di battaglia e
dall'impianto di sette settori a gironi concentrici che portavano ad
una cappella votiva “sormontata dall'obelisco della fede con
quattro croci e un faro”.
Il progetto
del cimitero, realizzato da Ghino Venturi e da Pietro del Fabbro, per
la sua trasformazione in ossario riprendeva la disposizione a gironi
enfatizzata da murature grezze a bugnato in pietra carsica.
Ma
l'insoddisfazione di Cei, benchè le opere fossero già state
appaltate, fece ordinare la sospensione dei lavori. Inizialmente
interpellati come consulenti, Greppi e Castiglioni,
non nuovi al tema della celebrazione dei caduti,
avrebbero poi ottenuto l'incarico di procedere ad una nuova stesura
del progetto.
Il primo
bozzetto lasciava inalterato l'assetto planimetrico ma agiva
sull'accesso, risolto attraverso un sistema di scalinature rettilinee
e curve, e sulla nuova disposizione della tomba del duca d'Aosta,
posta su una gradinata, e dei suoi generali poste lungo l'asse
longitudinale.
Nel
settembre del 1935 Cei, informato sulle pessime condizioni del
cimitero di Redipuglia, conferì con Mussolini per sottoporgli tre
alternative: non intervenire, ricostruire il cimitero ex novo su
quello preesistente, o variarne l'ubicazione.
Il
dittatore, confessato che il cimitero gli era sempre apparso come “un
grande deposito di ferro vecchio”, decise di scegliere un nuovo
sito: sul versante occidentale del monte Sei Busi, luogo di
battaglia, di fronte al vecchio cimitero che diventò poi parco della
rimembranza.
Il nuovo
luogo avrebbe rafforzato il suo significato simbolico e stimolato
l'esaltazione, ma avrebbe anche sostituito un luogo che suscitava
sentimentalismi e la commozione dei visitatori per i cimeli bellici,
reminiscenze di vita di trincea.
Con la
volontà di realizzare un monumento che fosse “grandiosissimo,
semplice, austero e duraturo”, il progetto venne sottoposto e
approvato dal duce nel dicembre del 1935 e poi avviate le trattative
per l'acquisizione del terreno.
Cei senza
attendere l'approvazione del ministero fece iniziare il cantiere che
già nel 1936 era già a stato avanzato.
L'impianto
planimetrico del monumento è di semplicità estrema: ventidue
gradoni si poggiano al declivio del colle.
Lungo il
monumento, preceduto da un vasto piazzale caratterizzato nel centro
dalla via eroica in pendenza, sono infisse nella pavimentazione 38
lapidi in bronzo sulle quali sono incise i nomi delle battaglie che
avevano segnato le fasi della guerra sul Carso.
A
conclusione del percorso, elevata dal piazzale, è collocata la tomba
del Duca preceduta da un semplice altare in pietra sotto al quale si
sviluppa la cripta alla quale si accede mediante una scala.
Nella parte
retrostante al sepolcro vi sono cinque monoliti contenenti le urne
dei suoi generali in modo da non ricordare solo i caduti, ma un capo
coi suoi soldati “associando all'immagine del sacrificio quella
dell'ordine gerarchico”.
Alla sommità
del complesso tre croci segnano la presenza della cappella votiva
dietro la quale si trova un basso torrione circolare adibito a
osservatorio. La cappella, a pianta rettangolare, con deambulatorio,
presenta 3 navate scandite dall'alternanza di pilastri. La struttura
interna è rivestita in marmo nero con copertura a volta ribassata
realizzata in mosaico dorato. L'ingresso, caratterizzato da
strombature, è risolto come i fronti delle due tombe che lo
fiancheggiano; la soluzione sembra rievocare elementi tipici
dell'architettura militare.
'L'intero
complesso per la volontà di attribuire monumentalità è impostato
secondo un uso sapiente e illusionistico della prospettiva: la
gradonata si assottiglia andando verso l'alto seguendo l'andamento
delle linee di fuga.'
Ciascun
gradone di pietra bianca carsica contenente le salme dei caduti
presenta nella parete verticale una lastra bronzea su cui sono incisi
i nomi dei soldati, il loro grado e le ricompense al valore militare.
La scritta
“presente” sulla fascia marcapiano è ripetuta in modo
esasperante:
essa richiama il rito fascista dell'appello. Era un momento centrale
della cerimonia funebre di coloro che si erano distinti nella
rivoluzione e nella vita nazionale, durante la quale il capo delle
squadre d'azione pronunciava il nome del defunto e i partecipante
rispondevano “presente”, “rinsaldando il legame tra vivi e
morti”.
“L'identificazione
tra eroi di guerra e martiri fascisti è definitivamente compiuta:
col riproporre il rito, si recuperava all'attualità del fascismo il
sacrificio dei soldati.”
Le salme dei
militi ignoti invece sono raccolte in due grandi tombe comuni poste
ai lati della cappella. Il suo accesso è collocato ad un livello
ancora più basso rispetto al piano di calpestio dell'ultimo gradone
e il vano si sviluppa a una quota ancora inferiore.
Il percorso
architettonico imposto al visitatore ha una valenza simbolica: è
connesso all'ideologia messa in atto dal regime che concepiva il
monumento non più “come simbolo in sé, ma [...] piuttosto [come]
la cornice del simbolo, perchè il simbolo diventa la massa che le
occupa nelle occasioni rituali”.
“La massa
per il fascismo è un monumento mobile e dinamico che esprime, con la
[...] forma che gli ha impresso la pedagogia totalitaria, a
legittimazione del potere e la rivelazione dei suoi valori e le sue
credenze.”
Il complesso
venne inaugurato da Mussolini il 19 settembre 1938, nell'anno del
ventennale della vittoria, con l'accompagnamento del duca di Spoleto,
Aimone di Savoia, Greppi, Castiglioni e Cei.
Mussolini
dirà che il monumento è “un'opera grandiosa, veramente romana,
che educherà generazioni e generazioni”.
Redipuglia,
definito da G.E. Kidder Smith “il più bel monumento italiano ai
caduti della prima guerra mondiale”, costituisce infatti una “tappa
d'arrivo nella realizzazione degli spazi sacri destinati al culto dei
caduti ed è l'opera più compiuta di appropriazione della memoria
della grande guerra attuata dal fascismo.”